Riflessione sull’incontro dibattito di Spazio Libero

In Italia, ad ogni tornata elettorale, ritorna a diffondersi una pratica sgradevole quanto diffusa, quella dei candidati che si sottraggono al confronto con gli avversari. Le spiegazioni di questo fenomeno, che si manifesta di solito a pochi giorni dal voto, sono molteplici. Da un lato vi sono tatticismi più o meno velati, legati ad una vera o presunta posizione di forza, posizione che potrebbe essere scalfita nel dibattito o dal dibattito. Dall’altro vi sono vere e proprie paure, provocate dalla consapevolezza o di possedere un oratoria fiacca o, peggio, di essere carente quanto ad argomentazioni e idee. Si tratta comunque di un vizio tipicamente italico: il candidato che adottasse un atteggiamento del genere in altri paesi (penso in particolare agli Stati Uniti) farebbe prima, e meglio, a ritirare la sua candidatura, per sottrarsi alla inevitabile punizione dall’elettorato. Il ragionamento che viene fatto oltreoceano è semplice: come può un cittadino chiedere il consenso quando non vuole confrontarsi con i suoi avversari? Come può pensare di rappresentare chicchessia quando sceglie di astenersi dal difendere e far valere le sue idee in un contraddittorio?
Visto che in Italia questo atteggiamento stenta ad allignare, non mi sorprende il fatto in sé. A sorprendermi è l’aggravante del grottesco: Urbani rinuncia un giorno prima del confronto, motivando la sua decisione con un fantomatico conflitto di interessi con l’organizzatore. Sagramola, appresa la provvidenziale notizia, fa immediatamente valere un pregresso patto di sangue con il suo avversario: “Avevamo stabilito che se Urbani non fosse andato, non sarei andato neanche io”. Singolare fattispecie contrattuale, ma tant’è. Resta un po’ di rammarico per quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Resta, soprattutto, la vittoria dell’opportunismo da quattro soldi sul confronto delle idee e dei programmi.